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Nessuno Si Salva Da Solo

Nessuno Si Salva Da Solo

Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo… anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio… ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.”

Haruki Murakami

 

Per usare un’espressione di Spinoza, ripresa oggi da noti filosofi e psicoanalisti, da parecchi anni siamo sprofondati dentro il tempo delle passioni tristi. Un tempo a-progettuale, dove pare venire meno ogni aspirazione all’ideazione, alla creazione, al senso di appartenenza.

All’interno di questo progressivo vuoto di valori e idee ecco arrivare il Coronavirus (covid-19) a provocare nell’umanità un periodo di sospensione e forzato isolamento, un periodo di “stop” alla deriva edonista in cui era precipitata la nostra comunità.

Certo, il passato crollo delle ideologie politiche ha innescato un vero e proprio declino esistenziale. Ciò ha fatto sì che non ci fosse più un luogo o un’idea intorno a cui avvolgere le passioni individuali, diventate quelle cose misere che già Nietzsche definiva, riferendosi alla borghesia dell’epoca, come “pruriginose voglie”.

Insomma abbiamo portato il mondo della passione dalle piazze alle camere da letto.

Un’epoca spassionata la nostra, che identifica le passioni con gli oggetti da possedere e mostrare, persone comprese.

Un’epoca che ha nutrito ed educato una collettività arida, priva di ideali, unicamente venduta alla merce di consumo.

Se da un lato la nostra generazione soffre di un vuoto creativo, dall’altro ha generato una società sempre più omologata, sempre più conformista, sempre più duttile e liquida, sempre più governabile, sempre più triste.

L’Occidente è affetto da una depressione significativa: il 50% della sua popolazione usa farmaci a sfondo depressivo, secondo le ultime statistiche della Organizzazione Mondiale della Sanità.

Viviamo in un tempo di disincanto, totalmente soggiogato al capitale, in cui non si crede più a nulla se non al mercato.

In nome dell’individualismo dominante, la salvezza della nostra specie non è più pensata al plurale, come salvezza collettiva, ma per lo più declinata in salvezza individuale, egoistica, misera, mortifera.

L’attuale capo del consiglio, travolto dall’emergenza pandemica, è stato costretto suo malgrado a prendere decisioni a nome della collettività, da buon padre di famiglia, che detta regole non in maniera repressiva, dispotica, ma democratica: procedendo per tentativi ed errori.

Si badi bene, si parla dell’ attuale capo del consiglio non in merito alla sua appartenenza politica, ma in relazione al valore simbolico di quello che è accaduto non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Ma forse noi italiani, per cultura, storia sociale e politica, avevamo più bisogno di altri di un “taglio” esterno inatteso, ma preannunciato da più parti.

Così l’epoca del Covid-19 improvvisamente resuscita il Padre freudiano, e insieme a lui l’intera comunità.

Appare utile tale indizio agli intellettuali, compresi i professionisti del mio settore.

La nostra epoca iper-moderna, iper-edonista, ha visto purtroppo (e con grave compiacimento di alcuni) il transito dalla “ragion pratica” – ideale trasformativo il nome del quale riconfigurare le simmetrie dell’esistente- alla “ragion cinica” individualista, perversa, corrotta e corruttibile.

Un mondo, il nostro, totalmente permeato dalla forma merce e dalla sua spettacolarizzazione, verosimilmente il peggiore dei mondi possibili, e nondimeno considerato, fino ad oggi, l’unico dei mondi possibili.

Il passaggio dall’ interesse collettivo a quello individuale, dal vivere creativo al vivere concreto, ha generato un senso mortifero di impotenza, di fatalità: la desertificazione dell’avvenire, il lasciare stare le cose come sono, non perché siano buone o positive, bensì perché non possano essere altrimenti.  

Che fine ha fatto il futuro come orizzonte di speranza, di progettualità, di emancipazione critica?

Tale presente, prima del Covid-19, era destinato a saturare con le sue logiche anche il futuro, come se non fosse possibile altro modo di pensare, di esistere, di produrre, se non quello di comprare e mostrare merce in un eterno presente.

Occorre quindi individuare e lavorare sulle passioni tristi in questo presente interlocutorio, di sospensione, messo in “quarantena”.

Un presente nel quale la comparsa del Coronavirus ci costringe a ripensare totalmente il nostro approccio alla salute mentale, alla socialità: una sfida politico-culturale nuova che deve essere affrontata con idee e soluzioni nuove.

Ed è proprio in tale presente che può esserci di aiuto il ricorso a percorsi psicoanalitici che facciano risorgere passioni creative.

Un limite imposto dall’esterno, dalla Legge, può davvero costituire una risorsa nel processo di ripensamento e ricostruzione della nostra soggettività: sapere chi siamo veramente al di fuori di proiezioni genitoriali e/o sociali.

Se il Padre freudiano, in quanto simbolo della Legge, possiede la caratteristica fondamentale di essere in rapporto all’impossibile, cioè al senso del limite, la Legge diventa ciò che introduce l’esperienza del senso del limite nell’umano.

Troviamo la presenza di questa legge sullo sfondo di una interdizione primordiale rivolta al bambino: “tu non puoi” godere di chi ti ha fatto, “non puoi” rientrare da dove sei venuto.

È il divieto dell’incesto.

Tuttavia è grazie a questo divieto che la Legge freudiana, introducendo l’impossibile nell’umano, rende possibile il Desiderio, cioè la spinta verso un ideale, che sia politico, religioso, professionale, istituzionale.

Da questa premessa nasce la convinzione che il nostro tempo, iper-moderno, iper-edonista, sia un tempo maledetto, cioè profondamente incestuoso.

Da tempo infatti assistevamo inermi al Desiderio, che svincolandosi dalla Legge diventava volontà infinita di godimento. Godimento mortale

Ma oggi in epoca di Covid-19?

Il Padre resuscita ed emana decreti.

Ristabilisce la Legge. Taglia. Dice no, tu stai a casa.

Tu non puoi più avere tutto, fare tutto, godere di tutto.

Se la morte ore appare nitida, sullo sfondo, costringendoci alla riscoperta del senso del limite, una rieducazione al legame è possibile.

Essa può accompagnare gradualmente esperienze alternative, permettere che il comportamento si modifichi secondo il regime del simbolico, della mancanza.

Dobbiamo cominciare a pensare nuove forme e nuovi interventi di solidarietà e vicinanza con cui ricreare il tessuto relazionale, in caso contrario i segni inferti da questa sospensione forzata della normale vita sociale saranno indelebili.

L’isolamento forzato e la coabitazione coatta hanno un costo psicologico enorme e documentato.

Precedenti ricerche condotte per le quarantene dovute alla Sars, in Australia e a Taiwan, mostrano come quattro settimane di quarantena bastino a generare nel 28% dei soggetti sintomi da stress post-traumatico.  Lo stesso studio ci dice che tre anni dopo la fine della quarantena, il 10% dei soggetti sottoposti al provvedimento dimostravano sintomi di depressione acuta, legata al trauma non curato del periodo di isolamento.

Ancora più alta è la percentuale di danni psicologici di cui soffre il personale medico e infermieristico: il 34% sviluppa stress post traumatico dovuto al mix fra isolamento forzato e all’ eccesso di lavoro a cui era sottoposto prima di essere contagiato. Se questo non bastasse, quasi la metà della popolazione sottoposta alla quarantena mostra aumenti significativi di irritabilità, insonnia, ansia e apatia, un mix che facilita esplosioni di violenza ai danni di soggetti deboli come donne, bambini e disabili.

Al fine di non crollare nell’ apatia e incorrere nei sintomi tipici sopra elencati, dovremmo sfruttare l’occasione, occupare tutto questo spazio mentale ora disponibile per riflettere, reinventarci, anche insieme a professionisti del mio settore che lavorano via Skype.

Questo virus ha messo in ginocchio e sullo stesso livello la maggior parte di noi. E mentre la Natura riprende il suo spazio, mentre il Pianeta respira, ci accorgiamo che attualmente non c’è spazio per l’odio, per le invidie, le rivalità individuali, ma solo per la solidarietà.

Dovremmo prendere l’esempio dai bambini, durante questo periodo di emergenza sanitaria: loro non dispongono più di parchi giochi, di interazioni scolastiche, di compagni e amici del cuore con cui giocare. Hanno però rispetto a noi adulti una risorsa incredibile: la capacità di immaginare, creare mondi possibili.

Dovremmo ripartire da lì, dai sogni, dall’entusiasmo creativo che solo i bambini trovano reinventandosi ogni giorno.

Se non ci faremo seppellire dalla noia, dal vuoto mentale riempito unicamente di nevrosi; se riusciremo a ribaltare questo tempo delle passioni tristi a nostro favore, riscoprendo le passioni creative, probabilmente ricorderemo questo momento come qualcosa di costruttivo per noi, per le nostre famiglie, per la nostra collettività.

Se riusciremo a concentrarci sul mondo interno, emozionale, sul mondo relazionale e degli affetti, se ci accorgeremo di potere fare a meno di “oggetti” che, fino ad ora, erano stati sempre disponibili ai nostri “bisogni” di consumo e alle nostre aspirazioni di effimera apparenza, forse qualcosa potrà cambiare in noi stessi e nel nostro rapporto con l’Altro.

Forse allora si potrà riscoprire il significato di collettività, il senso della solidarietà sociale.

Il nostro bene primario.

Maurizio Cottone

 

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