A proposito di DAD

In questo periodo storico singolare, dove permangono le preoccupazioni circa una quarta ondata pandemica, col relativo rischio di una nuova chiusura delle scuole, con particolare riferimento agli istituti secondari di secondo grado, il mio intervento come psicoanalista dell’adolescenza, nonché fondatore e attuale direttore scientifico dell’associazione Itaca che su Rimini opera da una decina di anni nelle scuole, vuole essere un “elogio alla didattica in presenza”.
Per fare questo parto da molto lontano, da una citazione di Plutarco, filosofo greco vissuto nel primo secolo dopo Cristo, grande studioso e divulgatore del pensiero di Platone.
“La mente non è un vaso da riempire ma un fuoco da accendere”.
Allora dalla citazione di Plutarco, per iniziare il nostro discorso, andiamo ancora più indietro, ad uno dei dialoghi più noti di Platone: il Simposio.
Agatone, un giovane e ricco studente, organizza un banchetto dove filosofi vengono chiamati, insieme a letterati, scrittori e artisti, a discutere del senso di Eros. Tutto il dialogo si sviluppa attorno a questo tema.
La star della serata è Socrate, che però è in ritardo come spesso gli capitava. Al suo arrivo Agatone gli chiede di potersi sedere al suo fianco durante il banchetto per essere “colmato” del sapere del Maestro. Sempre Agatone dichiara di sentirsi come una coppa vuota che vuole essere colmata dal sapere del Maestro.
Agatone, in questo senso, incarna l’illusione scolastica in quanto tale. Tutti noi siamo stati come Agatone; tutti noi abbiamo offerto la nostra testa al maestro affinché il maestro la riempisse; tutti noi siamo cresciuti scolasticamente dentro questa illusione: che il sapere è custodito dal maestro, e che l’attività della didattica consiste nel farsi riempire.
Il gesto di Socrate, è respingere Agatone, è dire ad Agatone: io non sono pieno, io sono vuoto come te, e, in quanto vuoto, desidero sapere.
Un vero Maestro non è colui che possiede la conoscenza, colui che risponde a tutto, ma è colui che testimonia sulla mancanza interna al sapere, che suscita il desiderio di sapere.
L’insegnamento è, quindi, l’incontro con qualcuno che è in grado, come Socrate con Agatone, di lasciare un’impronta, cioè una traccia di sé. E se l’incontro con un maestro è l’incontro che lascia un segno, allora dovremmo chiederci di che natura è il segno che l’incontro col maestro ha lasciato in noi, i maestri di cui non ci dimentichiamo, i maestri che portiamo dentro di noi. Tutti abbiamo avuto un maestro che ci ha trasmesso una spinta a cercare, che a sollecitato in noi un’attitudine o una predisposizione a… Provate a pensarci.
Questo segno lasciatoci non è fatto di sapere, non è fatto di contenuti del sapere. Potremmo averli dimenticati tutti, potremmo non ricordarli più. Ma c’è qualcosa del Maestro che rimane in noi come una traccia indelebile, un segno indelebile: questo segno è nell’ordine dello stile.
Noi non ci dimentichiamo lo stile dei nostri maestri. Ma che cos’è lo stile del maestro? Lo stile è innanzitutto il modo in cui il nostro maestro entra in aula (e questo vale dalle scuole elementari fino all’Università) il suo moto, il suo incedere, il suo corpo. Il suo modo attraverso il suo corpo di entrare in contatto con gli oggetti del sapere, con i libri: come prende in mano il libro, come scrive sulla lavagna, come parla, il timbro della sua voce.
Lo Stile è il Corpo del Maestro.
Un punto molto importante questo, che contrasta con le odierne derive tecnologiche della didattica – e qua veniamo all’argomento DAD – cioè derive che pensano la didattica a prescindere dall’incontro dei corpi.
Non ci può essere vera didattica senza corpi, non si può fare didattica per via digitale, per via informatica, via Meet. C’è bisogno della presenza dei corpi, c’è bisogno della loro carnalità.
Il primo miracolo che fonda la didattica in presenza consiste che mentre il maestro parla di oggetti teorici, mentre parla di libri, trasforma i libri in corpi. Questo libro pulsa, questo libro diventa vivo, questo libro ha un odore, ha un profumo, ha un sapore. Questo libro è carne.
Se il libro diventa un corpo che pulsa, se il libro diventa un corpo vivente, se lo stile del maestro è ciò che rende il libro corpo vivente, questo è realizzato come effetto principale di un’altra grande trasformazione, e cioè che l’allievo non è più una testa vuota che deve essere riempita. L’allievo si trasforma, diventa amante, si innamora del corpo del libro, prende forza, si mette in movimento. Desidera sapere.
È vero che il dispositivo scuola è fatto di calendari programmi, orari, consigli di classe, consigli d’istituto; così come è vero che questo dispositivo schiaccia i maestri, riducendoli a docenti, annientati dalla ripetizione programmatica dei corsi di lezione. Ma non si può ridurre tutto al dispositivo, esiste un’altra anima della scuola, bisogna credere nella scuola come evento miracoloso che trasforma il docente in Maestro.
Oggi la scuola rappresenta il punto di resistenza critico, l’ultimo baluardo rispetto a un discorso sociale che va verso il conformismo, che va verso l’adattamento passivo a modelli svuotati di valore, verso lo spegnimento del pensiero critico. In epoca digitale, in epoca di fuga verso i social dei nostri ragazzi, di chiusure pericolose (pensiamo ai cosiddetti hikikomori) la DAD, costringendo ancora gli studenti nelle loro camerette, rischia di diventare mortale soprattutto per gli adolescenti, il cui sviluppo pulsionale spinge ad uscire, necessita respirare, confrontarsi col gruppo dei pari, cercare maestri, guide al di fuori dell’alveo famigliare.
E se abbiamo detto che il primo miracolo è trasformare il libro in un corpo, nel desiderio di sapere, un secondo miracolo consiste nel trasformare il corpo in libro: nel desiderio di Amare.
La scuola è il luogo del risveglio dei sensi. A scuola ci si innamora, ci si scontra, ci si incontra. In adolescenza abbiamo i primi fremiti, i primi i battiti del corpo pulsionale. E solo se c’è cultura, il corpo dell’altro acquista la dignità del libro.
Sganciare l’erotismo dalla cultura, attraverso le attuali effimere derive edonistico-digitali, che inducono ragazzini e ragazzine a volere fare gli influencers, se non addirittura svendere il loro corpo su internet, appare una deriva perversa e mortale.
E allora l’humus in cui un ragazzo cresce e si forma è fondamentale. La didattica in presenza è fondamentale. La scuola abitata dagli studenti è fondamentale.
Io credo si possa educare anche la sessualità a scuola, attraverso la poesia, attraverso la letteratura, perché no, anche attraverso la matematica e la fisica. Così si può imparare a non separare troppo il mondo pulsionale da Eros, da Amore.
E quando il desiderio pulsionale si combina con il desiderio erotico, con il desiderio di sapere, quando ha questa grande chance, questa possibilità di combinarsi con l’amore, tutto è più trascinante, luminoso, vitale.
Purtroppo il rischio è quello che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno: da ragazzi apatici, che si perdono nel vuoto di una illusoria “second life” passando intere giornate davanti al computer, a ragazzi che esplodono, non riescono a trattenere la rabbia per essere stati privati di ciò per loro fondamentale: la libertà.
È così che è molto frequentemente si verificano, nelle scuole e nelle piazze, fenomeni di antisocialità, se non veri e propri casi di disturbi psichiatrici.
È compito della società adulta riuscire, a livello sociale e individuale, riconoscere e prevenire il malessere della attuale condizione giovanile, indirizzando i ragazzi da professionisti competenti in grado di aiutarli a riaccendere il fuoco di cui parlava Plutarco
Maurizio Cottone
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