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Disagio Giovanile

Disagio Giovanile

Ne “L’adolescente: una prospettiva psicoanalitica”, del compianto maestro Arnaldo Novelletto, precisamente nell’ ultimo paragrafo rimasto incompiuto e intitolato ‘La stazione d’arrivo: Adultopoli’ leggiamo: “..parallelamente alla difficoltà dei giovani di accedere intimamente allo stato adulto, anche il ruolo che gli adulti giocano nella dialettica intergenerazionale è implicato in questa promozione. Siamo convinti che una comprensione maggiore dello “stazionare al margine” del giovane adulto da parte sia dei diretti interessati, sia degli operatori chiamati a occuparsene, possa valersi di una riflessione intorno al modo e alla misura in cui gli ex-giovani della generazione precedente hanno sofferto e superato lo stesso problema”.
Dopo gli scritti di Novelletto sono arrivati le riflessioni sociologiche e psicoanalitiche sulla post-modernità o iper-modernità: la fluidità, la labilità, la liquidità di Baumann; l’evaporazione del padre e l’assenza di desiderio di Recalcati. Sono parametri nei quali si vengono a collocare i giovani adulti odierni, radicalmente diversi da quelli della nostra generazione. Sono in via di rapida trasformazione le autobiografie, che sempre più sono sfuggenti, anonime, accennate, frammentate, con innesti di arcaico e ipertecnologico insieme. I giovani della società odierna si trovano per un tempo interminabile in quella condizione che i sociologi chiamano “liminalità”, gli psichiatri “ritardo” e noi “stato pre-adulto”. Ma cosa significa tutto ciò per gli adulti che assistono al fenomeno? Come lo percepiscono, come ci si confrontano, come vi reagiscono? Novelletto ci dice che ogni fase della vita porta con sé implicazioni emotive e ideologiche molto primitive. Per l’adulto la capacità di generare e di mantenere ciò che si è generato porta al bisogno di dimostrare e affermare con forza, e in modi rituali, che egli esiste, che occupa un certo stato o posizione al centro di una visione personale rispetto ai propri predecessori, e che prende posizione contro coloro che si oppongono ai suoi principi, che possono includere particolari visioni del mondo, religiose o ideologiche. Prima tra queste è la convinzione atavica che il figlio – bambino, adolescente o giovane che sia – debba essere modellato a immagine e somiglianza del padre, donde la necessità che egli debba svilupparsi e adattarsi alle caratteristiche di un dato gruppo. Negli adulti permane una resistenza radicata a ricordare emotivamente il proprio passato, a rivivere gli errori commessi da loro, quando erano figli, in contrapposizione agli errori che commettevano i padri. Quindi a noi adulti rimane estremamente difficile riconoscere ad ogni generazione successiva il proprio personale e potenziale di sviluppo. A mio avviso compito dell’adulto é quello di definire la propria posizione come osservatore della vita in corso, soprattutto quella delle generazioni successive, sviluppando intelligenza emotiva attraverso l’allenamento all’ascolto di sé e all’ascolto e al riconoscimento dell’ altro da sé. Forse solo così potremmo resuscitare un aspetto paterno nella nostra società liquefatta dal bene di consumo e dalla ipertecnologia – i lacaniani direbbero dal ‘discorso del capitalista’- priva di uno sguardo amorevole paterno, differente da quello apparentemente evaporato nella collusione e confusione tra le generazioni. Sguardo attuale adulto che, in realtà, mantiene inconsciamente intatto quello severo e rigido dei padri della nostra generazione. Queste mie considerazioni sembrano confermate da Jeammet e Novelletto che insieme affermano: “Oggi non si può nemmeno parlare di stato adulto, perché il funzionamento psichico adulto non è più riconducibile a un’età, a una situazione o a una funzione, ma varia da caso a caso e da un ambiente all’altro. La paura odierna di affrontare il passaggio trasformativo dell’Io, da un assetto più controllato e nevrotico a uno più liberale e creativo, con il rischio di sentirsi alla deriva verso la frammentazione e disorganizzazione del Sé è la stessa ormai che vivono sia i giovani che gli adulti. Questa affinità di funzionamento tra giovane e adulto ci consente di comprendere meglio anche l’impatto difensivo intergenerazionale, che può verificarsi tra genitori e figli, in modo tale da produrre una post-adolescenza prolungata e un ingresso stentato dei figli nello stato adulto. Certi giovani, giunti al limite cronologico dell’adolescente tradizionalmente ritenuto normale, non riescono a superare la paura di frammentazione del Sé se non con difese di passività e di rinvio. Analogamente certi adulti, di fronte alla stessa angoscia, possono rispondere con difese diverse: di negazione, quindi di astensione da ogni approccio; di proiezione e quindi di aumento delle distanze, di irrigidimento e quindi di critica polemica”. Se riferendoci al giovane odierno parliamo di adolescenza protratta è ovvio che sia fondamentale prevenire il disagio giovanile intervenendo sugli adolescenti, intercettando i primi sintomi del disagio all’interno delle scuole attraverso gli sportelli di ascolto e il lavoro col gruppo classe. I sintomi caratteristici dei giovani odierni sono: depressione, mania, antiche dipendenze da sostanze e nuove dipendenze (alimentari, internet, gioco d’azzardo). Un disagio giovanile sommerso che è importante cogliere, non trascurando di osservare le variazioni dello stile di vita di ogni singolo ragazzo, poiché vi sono giovani che lentamente perdono la speranza di trovare aiuto nel mondo esterno e segretamente abdicano nei confronti della vita, sommersi da un crescente senso di impotenza e disfatta. Ma per cogliere anche i più piccoli segnali occorre un ascolto e uno sguardo allenati. Per questo credo sia altrettanto importante la formazione degli operatori socio-sanitari di settore, attraverso supervisioni di casi in gruppo con esperti delle problematiche giovanili, al fine di smussare eventuali difese inconsce, quali quelle descritte da Jeammet e Novelletto. Sul territorio riminese, l’associazione a cui appartengo, offre l’opportunità a tutte le associazioni e i centri giovanili di avvalersi di supervisioni gratuite con psicoterapeuti ITACA qualificati che, attraverso un modello specifico di intervento, sono specializzati nella prevenzione e cura del disagio giovanile. Credo sia necessario adottare ogni soluzione mirata ed efficace per svegliarci dal torpore in cui ci avviluppa la società liquida e ipertecnologica del “grande fratello”, quella che bombarda l’adolescente fin dalla tenera età. C’è un libro molto interessante di Marida Lombardo Pijola, una giornalista che si occupa da sempre di infanzia e adolescenza, dal titolo emblematico “Ho dodici anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa”. Con lo stile del reportage, la Pijola descrive ragazzine la cui aspirazione è fare le cubiste in discoteca o andare in un reality Mediaset e, nel frattempo, si masturbano in webcam e ragazzini che si isolano sempre più dal sociale passando intere giornate su internet, a crearsi una “second life”, con la complicità di un genitore tranquillizzato dall’avere il figlio a casa. In realtà questo è l’inizio di una scelta regressiva che porta molti ragazzi e ragazze a “liquefarsi”, isolandosi sempre più, trascurando gli studi e, in alcuni casi, abbandonandoli. Una società melmosa, la nostra, che impantana il ragazzo fin da subito, favorendo un blocco del percorso soggettivo e generando una gioventù abulica, sfiorata dagli eventi, che non incide più sul tessuto sociale e politico italiano.

di Maurizio Cottone, lavoro letto alla giornata di studi “Pronti a virare” RM25, Rimini, 15 maggio 2016

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