Tomboy – il corpo sessuato nella scena pubertaria

«Io credo che la preadolescenza sia un’età molto sensuale, fatta di emozioni e sensazioni molto forti per il semplice fatto che le proviamo per la prima volta. C’è una sorta di tabù su questa età, ci siamo passati tutti ma non ne parliamo mai. I bambini non hanno bisogno di categorie come l’omosessualità, vivono solo di esperienze. Penso che questa storia parli a tutti, perché a quell’età ci siamo tutti travestiti per concederci di essere qualcun’ altro.» (Cèline Sciamma)
Il film Tomboy (Francia 2011) di Céline Sciamma racconta il delicatissimo momento della vita di Laurie, che insieme ai genitori e alla sorella Jeanne si trasferisce durante le vacanze estive in una nuova città. La mamma è incinta del terzo figlio (un maschio) e il padre è impegnato al lavoro. Laurie approfitta della distrazione degli adulti per prendere una decisione: nel nuovo ambiente si farà credere un maschio. È come Michael che farà le prime amicizie e, in particolare, attirerà l’attenzione di Lisa che finirà con l’innamorarsi del nuovo arrivato.
Nel mettere in scena la storia di una ragazzina che vorrebbe invece essere un maschio, la regista riesce a muoversi con grande attenzione nel territorio fatto di fantasmi tipico dell’esperienza pubertaria. Con l’ingresso del bambino nella pubertà, infatti, cambiano le forme del corpo: quello ancora grazioso, familiare dell’infanzia, è reso estraneo e invaso dall’erompere pulsionale. Le certezze dell’infanzia non sono più affidabili, mentre quelle del periodo pubertario sono caotiche. La preoccupazione per il corpo, che si può giungere ad odiare, che può essere avvertito come qualcosa di incombente, così come quella per i capelli, tipica del periodo – quante scene con Laurie davanti allo specchio a modellare, modificare la propria acconciatura –, sono momenti simbolici dell’evoluzione puberale, avvertita come “brutta” e da trasformare. In questa complessa fase della vita il preadolescente si trova a confrontarsi con un corpo vissuto come estraneo e minaccioso. Si pensi alle ragazze anoressiche, o alle obese, che cercano di bloccare lo sviluppo puberale e rendere il corpo privo di forme, mascherando così una sessualità che viene vissuta in modo pressante. Il corpo sessuato diventa allora un «estraneo perturbante» (Chan R.,1998) che apparentemente si impone dall’esterno e richiede una integrazione psichica.
In un momento emblematico della narrazione filmica, la madre consegna le chiavi di casa a Laurie legate in un nastro rosa. La ragazzina sostituisce il nastro con uno di colore bianco (e, si noti, non azzurro) come a dire che vorrebbe evitare, bloccare lo sviluppo pubertario.
Altrettanto emblematica la scena ove l’amichetta Lisa, credendola un maschio, trucca Laurie/Michael da donna coinvolgendola in un gioco di maschere reciproco: non sono più bambine e non ancora donne. Tornata a casa, nonostante stia nascondendo il volto nel cappuccio della propria maglia, la madre le chiede di farsi ammirare e, complimentandosi con lei, le dice che il trucco le dona molto. Ma Lisa non sembra convinta.
Le esperienze dell’adolescente hanno a che fare sempre con una ricerca di autoritratto. Tale ricerca è proprio ciò che riassume l’interrogativo essenziale del preadolescente che tenta di riconoscersi davanti alla propria immagine. Preso dalla pluralità di ciò che prova, dall’informe, vorrebbe vedere emergere magicamente una forma buona di sé stesso.
La stessa amicizia di Laurie per Lisa presenta le peculiarità di una “relazione omoerotica” (Novelletto A., 2002), che ci rimanda al bisogno di «doppi» (alter ego, amicizie omoerotiche, gruppo dei pari, ecc.) caratteristico della condizione adolescenziale. Questi diversi doppi assicurano al giovane quegli appoggi esterni, più o meno temporanei, necessari alle sue capacità di identificazioni, costantemente a rischio di fallimento per l’effetto della tempesta ormonale che lo travolge.
Laurie ha una sorella più piccola che presenta tratti e atteggiamenti marcatamente femminili; la protagonista proietta su di lei la bruttezza pubertaria, le dice: «tu puzzi». Lo stesso mostro della favola, letta da Laurie alla sorellina, può essere interpretato come la rappresentazione simbolica di tale bruttezza: «un orso mostruoso fece la sua apparizione, il suo sguardo si posò sul bambino». La mostruosità rifletterebbe anche l’impossibilità di trovare un compromesso tra la credenza infantile fallica di «un solo sesso», il pene, e la differenziazione dei due sessi attraverso l’apertura all’altro da sé e al legame sociale con i primi rapporti amorosi.
Sapendo di fare il bagno in un laghetto con i suoi compagni, Laurie si modella un pene con la plastilina per simulare la presenza dell’organo genitale maschile sotto il costume; la protagonista manifesta così un evidente rifiuto dell’identificazione col femminile incarnato dalla madre e un bisogno di fuga dalla sessualità che preme. Inoltre, possedere il pene è la posta in gioco nella simbolizzazione fallica infantile.
La guerra tra femminile e maschile avviene in modo indipendente dal sesso anatomico e riguarda sia i maschi che le femmine: il conflitto è tra fallico e castrato, tra dominante e dominato, tra idealizzato e deidealizzato. Il conflitto soggettivante adolescenziale si deve dunque situare tra potere e amore dell’amore, tra dominazione e romanticismo amoroso, attraverso la temuta sperimentazione dei primi rapporti amorosi col sesso complementare.
Come sottolinea Philippe Gutton: «Se nell’infanzia il narcisismo fallico è la soluzione per sfuggire alle angosce edipiche, nella pubertà la ricomparsa dell’Edipo rinforza l’attaccamento a una posizione narcisistica. Il bambino, ora pubere, vive l’esperienza perturbante di essere a stretto contatto con il desiderio del genitore edipico. Il pubertario è tutt’altro che un momento di separazione, piuttosto conduce a stretto contatto psichico con il corpo del genitore edipico. Tale contatto risulta, allo stesso tempo, molto eccitante e molto angosciante» (Gutton P., 2009: p. 85).
È questa ciò che Gutton definisce «la scena pubertaria». Tale scena è una co-costruzione animata sia dal preadolescente, sia da quanto parallelamente avviene nei genitori, a seguito delle modificazione che essi subiscono al momento della pubertà del figlio. Quindi il ruolo dei genitori è particolarmente importante in questo delicato momento di crescita.
Per tutto il film la Sciamma ci mostra un padre collusivo, che si avvicina troppo – pensiamo alla scena iniziale quando Laurie guida l’auto sulle sue ginocchia – quindi troppo eccitante e troppo angosciante. La mamma è incinta e il padre con tono premuroso ricorda alla figlia: «deve stare sdraiata». Una frase, questa, che contiene un’ambiguità semantica. Veicola una doppia comunicazione implicita alla figlia: «il femminile è passivo, il maschile è attivo»; e anche, «lei deve stare sdraiata, noi possiamo restare soli». In un’altra scena di intimità casalinga tra Laurie e suo padre, quest’ultimo le dice: «vuoi la birra? […] ti devo insegnare a giocare a poker […] anche io mi succhiavo il pollice da bambino, poi ho smesso».
Verso la conclusione del racconto cinematografico la madre, mortificata dal rifiuto di Laurie di identificarsi con lei, la schiaffeggia. Il padre complice la consola dicendo: «non avercela con la mamma […] sistemeremo tutto […] passerà». E Laurie: «andiamo via», si potrebbe aggiungere «io e te».
Nel padre di Laurie è assente quello che Gianluigi Monniello, a proposito dell’ingresso nel pubertario, chiama «sguardo del padre soggettivante» (Monniello G., 2009): uno sguardo amorevole, che non sia né freddo e svalutante né, come in questo caso, eccessivo ed eccitante; uno sguardo che permetta l’iscrizione del soggetto nel registro del simbolico, con la conseguente apertura verso l’altro da sé. All’interno della visione fallica, infatti, non c’è vera relazione con l’altro. Il permanere in tale chiusura speculare è mortale, come mostra bene il destino di Narciso.
Abbiamo detto che nel film la mamma delle due sorelle è incinta. Il fantasma dell’accoppiamento genitoriale non è pensabile, elaborabile. La mamma aspetta un maschio: Laurie dice alla sorellina «non si muove, forse sta dormendo», e lei risponde «o forse è morto».
Le dimensioni ludica e sociale sono altrettanti aspetti essenziali della scena pubertaria tracciata in Tomboy. Nel gruppo dei compagni di giochi le femmine scarseggiano: Lisa è isolata, ma soggettivata; Laurie/Michael sceglie come gruppo dei pari i maschi, dominanti e più numerosi. All’interno del gruppo le relazioni si esprimono principalmente attraverso modalità falliche. Nel gioco delle penitenze, intimamente legato alla sessualità, Laurie scambia la gomma da masticare con Lisa, evitando dunque il contatto con l’altro, col maschile troppo temuto. Nelle sequenze del gioco a pallone la protagonista fugge dalla passività: sputa per terra, scarta gli avversari, esibendo una virilità simulata; ma è costretta a mascherare il suo corpo appartandosi dal resto dei maschi quando sente l’urgenza di urinare. Durante una gara di lotta, nei panni del maschile dominante, Laurie batte uno dei ragazzini più forti e in premio riceve il bacio di Lisa: momento, questo, che segna il rischio dell’identificazione col maschile. Quando poi Lisa bussa alla porta di casa di Laurie per invitarla a passare del tempo con lei è il sociale che inizia ha certificare le identificazioni.
Ed è la sorellina la prima a fare la scoperta del camuffamento di Laurie; padrona del suo segreto insiste per entrare nel gruppo dei compagni di giochi, anche se ancora piccola, giungendo a ricattarla: «se non mi porti con te lo dico alla mamma». Per la sorellina dire che Laurie è maschio è solo un gioco, per Laurie il gioco sta diventando pericoloso.
Ma la vera entrata in campo del sociale avviene allorché la madre di un bambino picchiato da Laurie durante una scaramuccia suona al campanello di casa per lamentarsi dell’accaduto con la madre di Laurie: evento che trasforma definitivamente il gioco in realtà, quando la donna, superato l’apparente equivoco, scopre l’imbarazzante simulazione della figlia.
Nella parte finale del film, prima di portare sua figlia da Lisa per svelarle la vera identità sessuale di Laurie/Michael, la madre le dice: «non ci tengo a farti soffrire […] se fingi di essere un maschio non mi importa, non ci resto neanche male, ma così non può continuare […] se hai un’altra idea dimmela, perché io non ne ho altre».
«Togliere la maschera» a Laurie equivale ad una castrazione, un taglio simbolico – in questo caso forse traumatico – ma necessario. Laurie e Lisa si incontrano nuovamente e Lisa le chiede: «qual è il tuo vero nome?».
Per Laurie questo è l’inizio di un’autentica relazione con l’altro.
Bibliografia
Cahn R. (1998), L’adolescente nella psicoanalisi, Borla, Roma, 2000.
Freud S. (1900-1905), I tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti, OSF vol. 4, Bollati Boringhieri, Torino, 1992.
Gutton P. (2000), Psicoterapia dell’adolescenza, Borla, Roma, 2002.
Gutton P. (2008), Il genio adolescente, Edizioni Magi, Roma, 2009.
Ladame F. Catipovic M. (1998), Gioco, fantasmi e realtà, Franco Angeli, Milano, 2000.
Monniello G., Sguardo del padre e pubertario femminile, AeP, Novembre 2009.
Novelletto A., Vicissitudini dell’identità sessuale in adolescenza, AeP, Settembre 2002.
di Maurizio Cottone, estratto dal Manuale “Cinema Adolescenza e Psicoanalisi”, a cura di Carbone, Cottone, Eusebio, Franco Angeli 2013